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La riflessione che sta alla base di questo testo parte dalla convinzione che alcuni atti suicidari dipendano da gesti impulsivi e compulsivi che non sono necessariamente una conseguenza di determinate patologie pregresse, come la depressione maggiore o la patologia del bipolare. Quando parliamo in particolare di adolescenti e giovani adulti dobbiamo stare molto attenti a formulare diagnosi o classificare come morbosi alcuni comportamenti che caratterizzano questo passaggio dell'età evolutiva. Sembra, infatti, che molti giovani siano attratti da questa via di uscita, come se fosse un'alternativa. Pensano al suicido in modo compulsivo, provando piacere; è come se si dicessero: se mi suicido, se ne accorgeranno e io vincerò? La realtà ci offre un altro punto di vista: una buona parte dei suicidi si verifica in seguito al raggiungimento di un dolore mentale molto forte, a un senso di vuoto, cioè nichilismo, a un lungo rimuginare del soggetto su immagini via via più pericolose e tetre, che si fortificano e consolidano col passare del tempo, diventando l'unica via d'uscita per ogni crisi. Il ragionamento si concentra sugli aspetti psicologici educativi e sociali degli adolescenti e dei giovani adulti che compiono questa scelta, talvolta meditata e disperata, e su quali siano oggi le modalità di intervento riabilitativo del tentato suicidio in due "Centri anti-suicidi" italiani. L'impegno deve riguardare soprattutto la prevenzione.